giovedì 31 luglio 2014

5- Il pensiero di Dogen al di là di affermazione e negazione

Testo di Aldo Tollini, Università “Ca’ Foscari” – Venezia
Pubblicato dal Centro Zen di Firenze, www.zenfirenze.it
PARTE 5 
Ingresso del Kanpan-chudo, il tempio principale dell’Enryaku-ji della scuola Tendai dove Dogen ha iniziato la sua formazione

“Il punto fondamentale per comprendere luso della lingua deve necessariamente partire dal messaggio che Dogen vuole trasmettere, quindi il suo insegnamento. Sul quale in questa sede non è possibile che presentare qualche breve sintesi. Uno dei pilastri del pensiero del Maestro è la necessità dellabbandono della visione dualista della realtà per convincersi che ogni manifestazione fenomenica è espressione dell’illuminazione. Non esiste, quindi, una dimensione dell’illuminazione separata da quella dell’illusione, nè una dimensione della pratica separata da quella della realizzazione, cosi come Buddha e esseri senzienti non sono due, ma uno. In questo modo, Dogen nega sempre e senza eccezioni lapproccio dualista in quanto prodotto della convinzione errata di un proprio io separato dalla realtà altra. Questa realtà una e indivisibile è illuminazione, quindi l’assoluto.
 
Affermare è un’operazione unilaterale che descrive una sola parte della realtà, negare allo stesso modo è unilaterale ed esprime un altro lato: è come rappresentare una scena descrivendo solo il lato esposto al sole (affermazione) o solo quello all’ombra (negazione). Nel capitolo “Genjo koan dice: «Se apprendiamo un solo lato, l'altro lato rimane all'oscuro», per intendere che ogni conoscenza parziale è imperfetta. Dobbiamo, invece, vedere la realtà nella sua dimensione totale, sia quella positiva sia quella negativa, ovvero sia, quella che ci piace sia quella che ci dispiace. Per giungere alla realtà, d’altra parte, non basta descrivere insieme il lato al sole e quello all’ombra, o fuori di metafora, la somma dell’affermazione e della negazione non rappresenta compiutamente la realtà poiché lo strumento dualista è insufficiente: la realtà, è più complessa, più profonda e lontana. Non che non sia descrivibile: alcuni tipi di linguaggio possono farlo. Per esempio un luogo oltre l’opposizione tra affermazione e negazione, una dimensione che superi entrambi può esprimere l’assoluto5. Qui affermazione e negazione non sono più concetti opposti, ma complementari, coesistenti nella condizione di muge 無碍 di non ostruzione come insegnato dalla scuola buddhista Kegon. La realtà, la realtà assoluta, è priva di distinzioni, è scevra da contaminazioni, è, nel pensiero di Dogen, la realtà che si identifica con lilluminazione stessa. Giungere alla sua comprensione significa aprirsi allilluminazione. Questo superamento del dualismo, nella lingua, si esprime con leliminazione della visione contrastiva tra affermazione e negazione. Per esempio: «Noi non siamo davvero esseri senzienti, ma non siamo esseri non senzienti» (“Sansuikyo). Alla fine di questo percorso si trova la concezione fondamentale del Buddhismo Mahayana, quella del vuoto” o “nulla” (ku , mu ), ossia lassenza, nel senso della pura assenza: il semplice non c, o nelle parole del Sesto Patriarca cinese Huìnéng: honrai muichimotsu 本来無一物, originariamente non esiste nulla, che non va intesa come negazione della presenza, ma come assenza di essere e non-essere. Qui vi è un punto importante: muichimotsu significa letteralmente “non c’è neppure una cosa”, intendendo dire che non c’è nè affermazione nè negazione, cosi come nè essere nè non-essere. Nel capitolo “Maka Hannya Haramitsu” ("La pratica della Grande Saggezza") Dogen afferma: «tutte le cose hanno le caratteristiche della vacuità, non nascono e non deperiscono, non sono pure né impure, non aumentano né diminuiscono.» Nella dimensione della realtà assoluta, cioè dell’illuminazione, «i fenomeni sono il vuoto, a sua volta il vuoto è i fenomeni», come afferma la famosa frase del Sutra del Cuore, ma Dogen non ancora soddisfatto aggiunge: «i fenomeni sono i fenomeni, il vuoto è il vuoto», allora la descrizione della realtà dell’illuminazione è davvero completa. Proprio perché i fenomeni sono insostanziali, sono il vuoto. Dal vuoto si formano tutti i fenomeni, ma proprio per questo i fenomeni e il vuoto non sono altro che se stessi. Dopo aver negato l’esistenza dei fenomeni e del vuoto, subito dopo afferma la loro esistenza in quanto tali: ora abbiamo negazione e affermazione uniti sullo stesso piano. Perciò nel capitolo “Inmo” (Così com’è) dice: «La saggezza non è necessariamente “essere” e non è necessariamente “non-essere”, ma c'è temporaneamente l'essere del pino primaverile e il non-essere del crisantemo autunnale.» I fenomeni sono e non sono, ma nell’impermanenza della realtà, temporaneamente, per noi uomini, esistono le cose. Esse possono essere considerate come i “fiori del cielo” (空華) del famoso capitolo omonimo, cioè esistenze effimere dovute solo alla falsata visione causata da una malattia agli occhi; ma Dogen sostiene che essendo tutti i dharma il vero aspetto delle cose, anche i fiori del cielo visti con la malattia degli occhi sono il vero aspetto delle cose. Sia i fenomeni reali sia quelli “fittizi” sono comunque fenomeni ed entrambi esistono provvisoriamente nella nostra realtà: quindi entrambi sono e non sono. Se affermassimo che esistono “fenomeni veri” e “fenomeni fittizi” dovremmo distinguere tra essere e non-essere, su due piani separati. Solo passando attraverso lo stretto sentiero di affermazione e negazione coesistenti, o elevandosi sulla cima della loro non-contraddizione, o non ostacolamento, si può cogliere l’assoluto. Realizzare la propria natura-di-Buddha è possibile: essa si raggiunge: «Quando "questo" è completamente "non questo”» (“Bussho)
 
Proprio riguardo ai fenomeni, nello stesso testo Dogen afferma:
«[...] onorare tutti i fenomeni significa rendere onore alla saggezza che va oltre nascita ed estinzione. Proprio nel momento in cui si rende onore in questo modo, si realizza la possibilità di raggiungere la saggezza, cioè i precetti, la meditazione e la saggezza, e così via, fino alla liberazione per gli esseri senzienti. Questo è quello che viene chiamato mu (il nulla). Il raggiungimento del mu è possibile in questi termini. Questa è la profonda perfetta saggezza, molto sottile e difficile da comprendere.»
Quindi, oltre l’affermazione e la negazione della sostanzialità dei fenomeni, i quali non nascono e non periscono, sono e non sono, la Via verso la liberazione consiste nel rendere loro onore, cioè praticarli. Anche la liberazione è un fenomeno, quindi, esiste e non esiste allo stesso tempo, è mu, “nulla” ma proprio per questo si deve andare alla sua ricerca, allo stesso modo di come, l’illuminazione originaria che ogni uomo possiede ab origine, deve diventare oggetto di ricerca, come ben sa Dogen per sua stessa esperienza di vita. Cercare quello che sta oltre essere e non-essere non è trovare poiché nel vuoto o nel nulla non si trova il vuoto o nulla, ma si trova solo assenza. Invece di trovarediventare”, cioè identificarsi con questa assenza, quindi essere il “vuoto” o “nulla”, manifestarlo, attuarlo. Lo scopo non è di giungere alla conoscenza, che implica il trovare, ma di realizzare se stessi, quindi cambiarsi sulla base dell’esperienza di attingere al vuoto.
 
Di questo “vuoto” o “nulla”, Dogen precisa che vuoto non è il nulla (e viceversa): essi non vanno presi come entità astratte, ma relazionati alla natura-di-buddha, cioè alla dimensione dellilluminazione. È questa, e quindi anche ogni manifestazione fenomenica, che è “vuoto” e il “nulla”; essi sono la stessa cosa, ma al tempo stesso, sono relazionati tra di loro in quanto l’uno espressione dell’altro. Quindi, il “vuoto” e il “nulla” non sono vuoti o nulla, nè sono il loro opposto, il pieno e l’esserci. Insomma, di nuovo non sono nè affermazione nè negazione.
In “Bussho
si dice: «Il Quinto Patriarca disse: Tu dici che non ho la natura-di-Buddha perché essa è il vuoto. Questo esprime chiaramente che il vuoto non è il nulla.»
E ancora, nello stesso capitolo: «Non diciamo “vuoto” perché è vuoto, non diciamo “nulla” perché è nulla, ma si dice “nulla” perché la natura-di-Buddha è il vuoto
6. Quindi, ogni frammento del nulla è un riferimento che esprime il vuoto, e il vuoto è la capacità di esprimere il nulla.»7
l mu della negazione, Dogen non si contenta di affermarlo, ma come per ogni altro fenomeno, anche lo nega. È il mu del mu 無の無, quindi accanto al mu c’è il non-mu, e poi addirittura il non-mu del mu 無々の無 e il mu di tutti i mu 諸無の無 (Bussho). Allo stesso modo esiste muu 無有, il non cè dellessere, shou 諸有 (Shukke, Lasciare la casa), tutti gli essere (ogni forma dellessere)”.
 
Qui si raggiunge il punto in cui, tolto ogni incerto supporto linguistico e concettuale, liberato il campo da ogni preconcetto e da ogni precario appiglio, liberati da ogni convinzione dualista, non resta che fare il grande salto oltre affermazione e negazione nella dimensione dell’”oltre”, del satori.
«In alcuni casi, nel dilemma tra affermazione e negazione, Dogen propende per la negazione.
Perciò Hyakujo8 disse: “Predicare che gli esseri senzienti sono la natura-di-buddha è insultare il Buddha, il Dharma e il Sangha9. Predicare che gli esseri senzienti sono non natura-di-buddha è altrettanto insultare il Buddha, il Dharma e il Sangha”. Allora, quindi, sia dire: “essere la natura-di-buddha”, sia: “essere non natura-di-buddha” sono entrambi degli insulti. Sebbene siano degli insulti, non si può astenersi dall'esprimersi. »
La contemporanea affermazione di “natura-di-Buddha” e “non –natura-di Buddha” esprime la volontà da parte di Dogen di giungere alla dimensione che sta oltre affermazione e negazione, laddove essere e non essere perdono il loro significato. Questo è uno stato in cui “natura-di-Buddha” e “non –natura-di Buddha” cessano di essere dei concetti, anche dei nomi, e dei riferimenti solidi. Essi si pongono nella dimensione del vuoto e dell’impermanenza, dove presenza e assenza si fondono e perdono di significato.
 
E poi in “Bussho:
«Il venerabile Shakyamuni spiega che: “Tutti gli esseri senzienti senza eccezione sono la natura-di-buddha” e Daii spiega che: “Tutti gli esseri senzienti sono non natura-di-buddha”. Le parole “avere”/“essere” e “essere privo”/“non essere, non” sono completamente differenti e quindi [è naturale] avere dubbi sulla correttezza o meno di queste affermazioni. Però, nella Via del Buddha solo “Tutti gli esseri senzienti sono non natura-di-buddha” è corretto.10»
Tuttavia, nel capitolo “Komyo (Luminosità) si trova una frase in cui Dogen porta la lingua agli estremi usando solo laffermazione. Schematizzando dice:
光明尽有人人在 Nella luminosità cè totalmente ogni essere umano;
光光自是人人在 La luminosità naturalmente è ogni essere umano;
人人自有人人在 In ogni essere umano naturalmente cè ogni essere umano;
光光自有光光在 In ogni momento di luminosità naturalmente cè ogni momento di luminosità;
有有尽有有有在 In ogni momento di esistenza cè totalmente ogni momento di esistenza;
尽尽有有尽尽在 Nellesistenza di ogni momento di totalità cè ogni momento di totalità.

Oltre la dicotomia affermazione/negazione, alla fine esiste solo l’affermazione, che è affermazione del possibile: dell’illuminazione!”

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Note


5: Cfr. con concetto di “basho” di Nishida, cioè un luogo oltre l’opposizione dualista di soggetto-oggetto.
6: Il "vuoto" non è vuoto, il "nulla" non è nulla, poiché se fossero tali sarebbero definiti contrastivamente rispetto ai loro opposti "pieno" e "tutto" rispettivamente. Si dice nulla per dire che la natura-di-Buddha è il vuoto intendendo entrambi termini relazionati tra di loro e assoluti.
7: Solo attraverso l'assoluto del vuoto si può esprimere l'assoluto del nulla.
8: Hyakujo
̂ Ekai (720-814), maestro ch'an cinese, discepolo e successore di Baso Doitsu. Il brano che segue è una citazione dal capitolo 9° di Tensho koto roku (cinese Tiansheng guangdeng), opera in trenta volumi compilata in Cina nel 1148.
9: Sangha è la comunità dei monaci. buddha, Dharma e Sangha sono i cosiddetti Tre Gioielli.
10: "Essere qualcosa" è identificare un oggetto con qualcos'altro e quindi riconoscere l'esistenza di due oggetti, mentre "essere non qualcosa" è negare la dualità.